La fondazione nasce con la storia della malattia di Claudio.
Nei suoi ultimi due anni di vita si è combattuto, ma soprattutto ha combattuto, non soltanto contro il suo male e le sue estrinsecazioni, ma anche contro tutte le difficoltà che la burocrazia e la farraginosità del nostro servizio sanitario (e non solo) pone, rendendo difficile ciò che difficile non dovrebbe essere.
Claudio, fin da quando si è scoperta la malattia, è stato seguito in una struttura ospedaliera siciliana in cui le cure e in molti casi l’amorevole dedizione del personale medico ed infermieristico non riuscivano in alcun modo a sopperire alle gravissime carenze logistiche e strutturali, alla mancanza di materiale, di arredi, strumenti e apparecchiature necessarie a rendere meno penoso il tempo trascorso in essa.
Provate ad immaginare cosa significhino le lunghe attese di una terapia che non arriva, a causa del sovraccarico di lavoro della farmacia ospedaliera, per pazienti che, in molti casi, hanno affrontato viaggi di centinaia di chilometri e che altrettanti ne dovranno fare per ritornare a casa, debilitati da farmaci che, combattendo quel male, li rendono larve umane!
Disfunzioni di ordinaria amministrazione, da Sud a Nord, nessuno escluso!
Alla malattia, si aggiunge anche, una grande vulnerabilità, provocata dagli effetti dei farmaci che vengono somministrati, verso qualsiasi batterio o virus, che si aggira attorno a loro: una specie di girone dantesco in cui i non malati costituiscono un pericolo continuo e nonostante ciò, in quegli ambulatori, è prassi l’estrema promiscuità tra pazienti e accompagnatori, tutti insieme a condividere luoghi e ore di attesa.
Il malato oncologico ha bisogno di essere curato nel corpo; l’esperienza ci ha fatto chiedere: “Ma la sua psiche, la sua anima, la sua mente che peso hanno sulla malattia? L’essere testimoni della sofferenza altrui può essere d’aiuto?” Nelle lunghe ore di attesa nei corridoi, seduti su scomodissime e insufficienti sedie utilizzate a turno da familiari ed ammalati, abbiamo conosciuto il tipo e lo stato di malattia degli altri, sintomi e disturbi accusati da ciascuno di loro; a volte, purtroppo, anche il decesso di qualche compagno di viaggio. Chissà Claudio quante volte si sarà chiesto se quella sofferenza raccontata sarebbe stata un giorno la sua o se sarebbe toccato a lui, un giorno, non esserci più! In quelle condizioni, non sarebbe stato possibile allontanare questo pensiero, se mai c’è stato, dalla sua mente!
La necessità di incontrare un medico, pronto a dare consigli o spiegazioni plausibili per ciascun sintomo che la malattia e, più ancora, la cura stessa provoca, per il malato oncologico è fondamentale; ma le nostre strutture ospedaliere, in regime di day hospital, non prevedono nulla del genere: chi ha un problema al di fuori del momento terapeutico, deve rivolgersi al proprio medico curante nella speranza che ne abbia le competenze, o in alternativa al pronto soccorso di un ospedale, augurandosi che il medico di turno sia preparato all’emergenza, o in ultima ratio a Dio, sempre che ritenga opportuno intervenire.
Nei due anni della malattia di Claudio, più volte, ci siamo trovati a riflettere sulle opportunità di cura negate a chi contava su una condizione sociale ed economica diversa: accanto a lui, amici medici e familiari sempre presenti e in grado di poter leggere segnali contrastati al loro primo insorgere e arrestare così conseguenze devastanti; amici professionisti disposti a mettersi in gioco per fornire farmaci e cure al di fuori dei protocolli per tamponare le emergenze. Quanti altri, accomunati dallo stesso male, hanno potuto contare su tutto questo?
Grazie ad una assicurazione sanitaria, Claudio ha potuto evadere una lista d’attesa di almeno tre mesi e sottoporsi nell’agosto 2014 a Milano all’intervento, che avrebbe dovuto debellare la malattia. Quanti altri ragazzi, nella speranza che un intervento possa risolvere il loro problema, hanno una Assicurazione sanitaria che gli permetta di accorciare tempi, e forse, consentirgli di vivere?
Intanto trascorre un altro anno durante il quale è stato tentato di tutto. E poi la speranza di una cura sperimentale, estremo anelito di una svolta!
In quell’occasione (altro motivo di mortificazione che un individuo deve subire oltre alla sua malattia), a Bologna, città che Claudio non conosceva, in un momento di tregua, stavamo visitando la Basilica di San Petronio. Un addetto alla sicurezza ha invitato Claudio a togliere il berretto che copriva la calvizie provocata dalla terapia. Ubbidiente alle regole, come sempre, lo ha immediatamente tolto rivelando il suo stato: ho pregato perché l’addetto provasse più vergogna di mio figlio!
E comunque la cura sperimentale non è mai iniziata: le condizioni di Claudio non consentivano di perder tempo a provare qualcosa di cui non v’era certezza di risultati.
Ultima chance: radio embolizzazione. E’ una terapia che il nostro servizio sanitario assicura in tutti i casi in cui il tumore è primitivo (nasce là) ed è isolato (non ha metastasi). Il farmaco che viene prodotto in due posti al mondo colpisce in maniera mirata solo le masse isolate. Claudio ha metastasi al fegato, gli esami diagnostici le individuano solo là e sono isolate, ma non è primitivo e quindi il nostro sistema sanitario non copre le spese. Inizia la ricerca del Centro (sono pochissimi in Italia) che possa effettuare la terapia e solo Milano dà la disponibilità a prendere in carico il caso, sempre grazie a quell’Assicurazione che ne copre le spese e velocizza i tempi. Novembre 2015: esami preliminari per individuare le masse da colpire e la promessa che qualche risultato poteva esserci. Si riaccendono le speranze ma bisogna attendere il farmaco che deve essere prodotto in Canada. A metà dicembre i sanitari, pur trovando un quadro della malattia degenerato, effettuano la terapia.
Si rientra in Sicilia e Claudio pur camminando sulle sue gambe barcollanti deve salire la scaletta dell’aereo di linea della compagnia nazionale: ha necessità di essere sostenuto, ma né io né suo padre, a causa dei bagagli, ne abbiamo la possibilità. Una signora (grazie!) togliendomi dalle mani uno dei bagagli afferma “anch’io sono madre” e mi permette di sostenere Claudio. Nessuna compagnia aerea prevede l’accompagnamento in aereo se non quello assistito: mio figlio non aveva bisogno di assistenza (cioè essere trasportato su di una sedie a rotelle, preso in un gabbiotto ascensore che lo porta sull’aeromobile) ma solo aiutato a non sentirsi diverso e conservare la sua dignità.
Burocrazia, personale insufficiente, liste d’attesa, viaggi della speranza, ricerche infinite di strutture ospedaliere o medici che potevano aiutare Claudio nella sua lotta contro il male! Difficoltà oggettive che si aggiungono alla lotta contro il tempo che non c’è.
La fondazione nasce da tutto questo: dalla voglia di fare concretamente qualcosa per quanti ancora hanno una speranza di vita, per poter rendere più semplice a loro quello che per noi non lo è stato.
Da qui la volontà di fornire borse di studio affinché il nostro personale medico acquisti competenze in grado di conoscere e utilizzare nuove cure, di rendere accessibili terapie che il Servizio sanitario nazionale non prevede, di favorire la ricerca per la prevenzione dei tumori rari e germinali affinché la malattia e i suoi infausti esiti possano diventare sempre meno frequenti e infine coinvolgere professionisti nell’opera di prevenzione.
Consapevoli, come la malattia ci ha in questi anni insegnato, che da soli si può fare davvero poco e che il contributo di tanti è essenziale in questa battaglia che coinvolge tutti, la fondazione intende collaborare con altre fondazioni e associazioni con cui si condividono gli scopi, per insieme unire le forze contro questo nemico che ha diverse facce: malattia, incompetenza, burocrazia, ritardi, insufficienza di fondi e scarsa attenzione ai malati.
Col cuore e le parole si fa tanto ma spesso non è sufficiente! Vi chiediamo di esserci vicini con un aiuto concreto per quanti ancora hanno una speranza di vita per combattere insieme a loro le tante facce di questo male.
La mamma di Claudio